Licenziamento per chi insulta datore di lavoro
"La “giusta causa” di licenziamento è nozione legale e il giudice non può ritenersi vincolato dalle previsioni dettate al riguardo dal contratto collettivo, potendo e dovendo ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento dei lavoratore contrario alle norme della comune etica o dei comune vivere civile, ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, e potendo e dovendo specularmente escludere che il comportamento dei lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato"
PRENOTA SUBITO LA TUA CONSULENZA CON AVVOCATO DEL CITTADINO
Corte di Cassazione sezione lavoro - Sentenza 24 febbraio – 11 maggio 2016, n. 9635
Fatto
Con sentenza depositata il 12.3.2013, la Corte d’appello di Potenza rigettava il gravame proposto dall’Istituto Provinciale di Vigilanza “La Ronda” di P.P.G. e confermava la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato l’illegittimità dei licenziamento intimato dall’azienda a C.C., condannandola a reintegrarlo nel posto di lavoro e a risarcirgli i danni.
La Corte in particolare riteneva che gli addebiti contestati al lavoratore non valessero ad integrare gli estremi della giusta causa di recesso (e segnatamente la fattispecie dell’insubordinazione), dal momento che le espressioni ingiuriose rivolte ad un suo superiore gerarchico e indirettamente alla dirigenza tutta non si erano tradotte in un rifiuto di adempiere, essendo piuttosto espressive di un’abitudine lessicale, priva di intenti realmente offensivi e aggressivi.
Per la cassazione di questa pronuncia ricorre l’Istituto Provinciale di Vigilanza “La Ronda” affidandosi a tre motivi. Resiste C.C. con controricorso.
Diritto
Con il primo motivo, parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia per avere la Corte territoriale ritenuto che gli addebiti contestati al lavoratore non giustificassero il licenziamento, sul rilievo che le espressioni ingiuriose e diffamatorie rivolte ai superiori non si sarebbero tradotte in un rifiuto di adempiere, trovando piuttosto spiegazione in abitudini lessicali prive di qualsiasi intento realmente offensivo e aggressivo: più precisamente, parte ricorrente ravvisa contraddittorietà nell’assunto dei giudici di merito secondo cui il pur fondato timore che in futuro il lavoratore non sarebbe stato in grado di tenere comportamenti conformi alle regole del vivere civile e dell’organizzazione dei lavoro non costituiva allo stato motivo per ritenere che egli avrebbe potuto assumere comportamenti negatori degli impegni assunti o lesivi del patrimonio o dell’organizzazione aziendale.
Con il secondo motivo, parte ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto che l’abuso dei diritto di critica (vale a dire la critica esercitata con modalità lesive dell’immagine e dei decoro dell’interlocutore) non potesse essere lesiva dei vincolo fiduciario, sul rilievo che il CCNL sanzionerebbe con il recesso per giusta causa condotte non solo verbalmente, ma anche fisicamente aggressive ovvero il rifiuto di adempiere ad un ordine legittimo.
Con il terzo motivo, infine, parte ricorrente si duole della violazione dell’art. 140 CCNL e di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della, controversia per avere la Corte ritenuto che il rifiuto del lavoratore di sottoscrivere le disposizioni di servizio concernenti i turni di lavoro non integrasse insubordinazione, dal momento che dette disposizioni non costituivano uno specifico ordine di servizio, ma semplicemente una misura gestionale. Ciò posto, il primo e il secondo motivo possono trattarsi congiuntamente, in ragione dell’intima connessione delle censure svolte, e sono fondati nei termini che seguono.
Va anzitutto rilevato che, sebbene parte ricorrente denunzi in entrambi i motivi omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti decisivi della controversia, trattasi a ben vedere di censure di violazione di legge: a venire in rilievo in entrambi i motivi non è infatti l’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito, bensì la sussunzione dei fatti come accertati entro il paradigma legale costituito dal combinato disposto degli artt. 2106 e 2119 c.c.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Salerno, che provvederà anche sulle spese dei giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-qoater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.