Se la moglie lavora ed è in grado di provvedere autonomamente al suo mantenimento, anche se ha un’invalidità ed è depressa, non può pretendere il mantenimento dal marito. Un socio di Avvocato del Cittadino – Associazione Astolfi, difeso dai legali dell’ente, si è visto avanzare in sede di separazione giudiziale la richiesta di un assegno di mantenimento di 300 euro, anche se gli stipendi dei coniugi sono praticamente equivalenti: lui percepisce 1.600 euro per 13 mensilità, lei 1.500 euro per 13 mensilità
Il giudice, nei provvedimenti provvisori ha infatti stabilito che “ritenuto che, in assenza di differenza reddituale, non può disporsi un contributo al mantenimento della moglie a carico del marito”.
Lo stato depressivo asserito dalla moglie, nella controversia, non ha avuto peso: i problemi fisici e emotivi della consorte, dovuti all’abbandono del marito, non hanno compromesso le sue capacità di svolgere le normali attività della vita quotidiana. La donna, infatti, tuttora lavora e non ha la necessità di ottenere un contributo economico in quanto è capace, autonomamente, a provvedere alle sue esigenze materiali. D’altronde, anche la recente giurisprudenza, sul punto, parla chiaro: il mantenimento non scatta in misura automatica, va riconosciuto solo se il coniuge ha una effettiva “difficoltà economica” e una “impossibilità a procurarsi un reddito”.
Questo vuol dire che anche se una giovane donna disoccupata si separa, se non ha invalidità che le precluda la possibilità di trovarsi un’occupazione, non può in teoria vedersi riconosciuto un mantenimento da parte del marito.
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